un racconto di Gloria Guarnieri
Era un momento perfetto
Era un momento perfetto, uno di quei momenti in cui ti senti in pace con te stesso e con l’universo intero. David ammirava il panorama. Catturato com’era da quella sensazione di tranquillità assoluta, nessuno lo avrebbe convinto ad alzarsi, privandolo così di un momento quasi magico. Nemmeno Oscar ci sarebbe riuscito, nonostante l’esuberanza contagiosa dei suoi modi iperattivi.
Oscar era il suo migliore amico, fin dai tempi delle elementari. Il primo giorno di scuola, la maestra li aveva fatti sedere vicini, ai primi posti della fila centrale di banchi disposti due a due. Come la maggior parte dei compagni, David era impaurito. Avvertiva un leggero senso di nausea alla bocca dello stomaco ma si era consolato vedendo che anche Oscar, come lui, aveva gli occhi lucidi quando le mamme li avevano salutati con un bacio prima di lasciare l’aula. Ignari dell’amicizia che li avrebbe legati in futuro, provarono subito una reciproca simpatia.
“Certo ne era passato di tempo” pensò David “quasi sette anni.” Disteso sull’erba, all’ombra di un robusto faggio rigoglioso che lo riparava dai raggi di un caldo sole estivo, David chiuse gli occhi e sbadigliando si stiracchiò. Il silenzio era interrotto soltanto dal fruscio delle foglie e dallo scorrere dell’acqua nel ruscello. David aveva immerso i piedi scalzi per trovare un po’ di refrigerio.
Raccolta una formica tra l’erba, con veloci movimenti delle mani la faceva correre avanti e indietro tra le dita. Pensò a quanto fossero laboriosi quei minuscoli insetti e si sentì quasi in colpa per il tempo che le stava rubando. Appoggiò la mano al suolo permettendo così alla formica di proseguire la sua corsa sparendo tra l’erba. Gli sembrò quasi di sentirla imprecare.
Sbadigliando nuovamente, tolse i piedi dall’acqua e allungò le gambe per asciugarli al sole. “Ancora qualche minuto” pensò “poi mi rimetto in cammino.” Si guardò intorno. Era davvero uno splendido posto, ispirava pace e serenità. David ammirava le distese d’erba. Prati di un verde brillante salivano a scendevano le colline. Qualche albero qua e là. Più in basso, a destra, pascolavano pigramente una dozzina di mucche. Con fare indifferente, brucavano l’erba alzando la testa di tanto in tanto.
A sinistra, il paese illuminato dal sole sembrava un villaggio in miniatura, con tante macchioline colorate. Ogni casa era macchiata di più colori, era l’effetto che davano i fiori appesi ai davanzali. Alle sue spalle, invece, si ergevano maestose le montagne. Sopra di loro il cielo azzurro e qualche nuvola bianca che faceva pensare alla panna montata.
Poco distante, sempre alle sue spalle, si estendeva una macchia di vegetazione, un piccolo bosco formato da pini, acacie, castagni, faggi e cespugli vari.
Lasciando la strada, David l’aveva attraversato spingendo a mano la sua mountain bike. Sprigionava profumo di resina e al suo interno vantava una temperatura decisamente più fresca.
Passi alle spalle?
David ripensò alla strana sensazione avuta nell’attraversarlo, come se qualcuno lo stesse seguendo. Era quasi certo di aver udito un rumore di passi che poi era svanito contemporaneamente al suo arresto. Impaurito, aveva percorso correndo l’ultimo tratto di bosco, rischiando più volte di cadere assieme alla sua mountain bike. Poi la vegetazione si era aperta sulla collina, la più alta tra quelle lì intorno, quella da cui David ammirava il panorama.
Un lungo sospiro, un altro sbadiglio, uno sguardo fugace all’orologio. David ebbe un sussulto. Erano le tredici passate. Incredulo, ricontrollò l’orologio che gli confermò lo stesso orario. Il tempo era volato. Era tardi, tardissimo. Sua madre lo aspettava. “Mi ucciderà” pensò. Doveva correre subito a casa.
In preda all’affanno, David infilò velocemente le scarpe, si alzò in piedi e riprese la bici. Fece al contrario il percorso che lo aveva condotto fin lì. Attraversò di corsa il bosco e una volta uscito all’estremità opposta si diresse verso la strada.
Fu allora che avvertì nuovamente qualcosa di strano. Si fermò di colpo e tese l’orecchio, rabbrividì. Ancora quel rumore di passi, proveniva dal bosco. Le poche foglie secche cadute dagli alberi scricchiolavano sotto il peso di passi lenti ma ben distinti. Sembravano avvicinarsi. Poi, più nulla.
David era fermo, immobile, il bosco alle sue spalle. Pietrificato, non aveva il coraggio di voltarsi. Avrebbe voluto scappare ma le sue gambe sembravano paralizzate e non riusciva a muovere un solo passo. Rimase così per qualche istante finchè la morsa che lo attanagliava cominciò ad allentarsi e pian piano la paura lasciò il posto alla curiosità.
“Forse è qualcuno che sta solo passeggiando” pensò, anche se non aveva visto anima viva lì intorno “Oppure è qualcuno che vuole farmi uno scherzo.”
Raccolse tutto il suo coraggio e si voltò. Rimase sorpreso, la bocca semiaperta. Non c’era nessuno. Eppure ne era certo, qualcosa si era mosso nel bosco. Erano dei passi, come quelli che aveva udito al suo arrivo.
Incuriosito, David avanzò lentamente e si accorse che le gambe gli tremavano ancora. Arrivò fino al margine del bosco. Strizzando gli occhi allungò il collo in avanti per scrutare meglio tutt’intorno.
E all’improvviso “CRAC” più nitido che mai, il rumore di un ramo spezzato. Il cuore fece un capitombolo nel petto e lo sguardo schizzò in direzione del suono. Fermo, immobile, David osservava attentamente tra i cespugli. “C’è qualcuno?” chiese con un filo di voce tremante. “Se è uno scherzo, non è affatto divertente.” Poi il suo sguardo si fermò di colpo, su di un punto ben preciso, più o meno all’altezza del suo naso, a circa dieci metri da lui, nel bel mezzo di un grosso cespuglio.
Il cuore cessò di battere. Avvertì un brivido intenso lungo la schiena. Vedeva la sagoma di un viso, due occhi fissi su di lui. Al loro primo battito di palpebre, David cacciò un urlo e fece un balzo all’indietro cadendo a terra. Tentò subito di rialzarsi ma non poteva. Scivolava e ricadeva, annaspava quasi senza fiato. Muoveva gambe e braccia ma era sempre a terra con la terribile sensazione che qualcuno gli arrivasse alle spalle.
“Aiuto, aiutatemi” gridava annaspando, ma non riusciva ad alzarsi. Aveva l’impressione di scivolare verso il basso, come fosse in ripida discesa. Gridava, annaspava e scivolava verso il basso, sempre più in basso.
…poi una voce lontana
Poi, una voce lontana “David”, si avvicinava “David muoviti”, ora forte e chiara “David svegliati, sono già le nove, c’è tutto da sistemare, sono pronte le tue valigie?” ed infine “Si parte alle undici.”
In un bagno di sudore, David spalancò gli occhi e per alcuni istanti, fissando il soffitto della sua camera da letto, gli sembrò di rivedere due grandi occhi che lo fissavano da dietro un cespuglio.
Gloria Guarnieri